Secondo una nuova inchiesta almeno parte degli sforzi che facciamo ogni giorno per limitare i rifiuti di plastica e avviare tutto il possibile al riciclo potrebbero essere vani
Il problema della plastica è una delle questioni più importanti da risolvere in tempi brevi per evitare il collasso del pianeta. La plastica, la grande rivoluzione dei materiali degli Anni ’50, è adesso un problema data proprio la sua diffusione come materiale utilizzato in praticamente ogni ambito della vita. Dalle costruzioni all’abbigliamento, passando per la confezione, i materiali plastici derivati dal petrolio sono ovunque.
Uno dei modi per evitare danni al pianeta è quello di evitare la dispersione di questo materiale e, dove è possibile, avviare percorsi di riciclo per ottenere nuova plastica senza andare ad utilizzare risorse nuove con un conseguente impatto ambientale. Per far ciò, è ovviamente necessario che i cittadini collaborino conferendo la plastica negli appositi spazi. Ma la nuova inchiesta dal titolo MalDiPlastica condotta da PresaDiretta getta una luce triste su tutti gli sforzi che ogni giorno i cittadini fanno proprio per il riciclo della plastica.
L’inchiesta condotta da PresaDiretta e rilanciata anche da Greenpeace Italia svela una parte di ciò che succede ai rifiuti di plastica che, dopo la raccolta, dovrebbero essere avviati in percorsi di riciclo. Secondo ciò che è stato svelato dall’inchiesta MalDiPlastica, però, la parte di rifiuti che il nostro Paese esporta altrove potrebbe in realtà finire in luoghi dove, anziché essere opportunamente riciclata, si disperde nell’ambiente o semplicemente viene accatastata nelle discariche.
Nel corso del 2022, questo emerge dall’inchiesta di PresaDiretta, sono stati principalmente sei i Paesi che hanno accolto, si fa per dire, i rifiuti di plastica prodotti in Italia tra quelli che sono stati esportati fuori dai confini dell’Unione Europea. In cima alla lista c’è la Turchia con oltre 18 mila tonnellate di rifiuti di plastica importati nel corso dell’anno scorso e seguita dalla Arabia Saudita e dallo Yemen con entrambi oltre 10 mila tonnellate di rifiuti. Chiudono la lista Svizzera, Stati Uniti ed Emirati Arabi.
L’espressione utilizzata da Greenpeace Italia che riguarda questi meccanismi per cui i rifiuti di plastica che dovrebbero essere avviati a percorsi di riciclo per ridurre l’impatto delle nostre attività di esseri umani sul pianeta finiscono invece in Paesi in cui spesso non ci sono neanche gli impianti per trattare questi rifiuti è quanto mai illuminante: “colonialismo dei rifiuti“. Una traduzione dall’espressione inglese waste colonialism. Una espressione coniata per la prima volta nel 1989 e che purtroppo continua ad avere un significato ancora oggi.
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