Cosa arriva sulle nostre tavole quanto proviene dalla pesca in mare? Di un pesce come il tonno, ad esempio, che qualità possiamo avere garantita? L’associazione per l’ambiente Greenpeace lancia una nuova indagine dai risultati sconvolgenti.
L’analisi di Greenpeace ha interessato la maggior parte delle scatolette che gli italiani trovano quando vanno a fare la spesa e il risultato è che solo il 7% indica la zona del mare blu dove è stata effettuata la pesca del pesce, mentre nessuna marca indica le modalità con cui viene pescata questa specie di pesce. Questo provoca un forte allarme per quanto riguarda gli esemplari in via di estinzione, ad esempio il tonno pinna gialla che è il più acquistato in Italia, oltre ai rischi correlati per l’intero ecosistema marino.
Ma andiamo più nel dettaglio: in questi giorni il clamore è suscitato dal caso Rio Mare, che cita sempre nei suoi spot la sua attenzione per la qualità responsabile: ad andare più nel dettaglio, però, le cose non stanno esattamente così.
Anche in questo caso è stata Greenpeace ad andare più a fondo della questione, dimostrando che il tonno messo in scatoletta da Rio Mare sia in realtà pescato solo per metà con metodi sostenibili: il problema, in questo caso, riguarda degli enormi galleggianti che sono messi nel mare allo scopo di attirare i tonni da pescare, ma che in realtà attirano anche altre specie di animali come squali, tartarughe o mante. Inoltre, tramite questo metodo intensivo, non è possibile effettuare alcuna selezione del pesce pescato, rischiando dunque di prendere giovani specie di tonni che così non hanno la possibilità di riprodursi.
Ad aggravare la situazione c’è il fatto che ancora un 55% di tonno pescato viene appunto preso tramite metodi distruttivi e non funzionali alla tutela ambientale e animale: dati alla mano, Greenpeace ha dunque chiesto l’aiuto di ciascuno per sollecitare la Rio Mare a utilizzare pratiche di pesca e di allevamento di tonni davvero responsabili. La battaglia però non finisce qui, dato che questo ha scatenato un nuovo vespaio di polemiche sul settore e imposto anche alle altre marche di muoversi in ottica di sviluppo sostenibile.
La questione, comunque, è da sempre periodicamente dibattuta e si articola tra il dubbio che le scatolette di tonno siano illegali e all’allarme rosso lanciato dal WWF sul tonno, a cui questa volta si aggiunge la questione lanciata da Greenpeace sui metodi di pesca.
Forse, però, in questa occasione qualche risultato si inizia a intravedere, a partire dall’Asdomar che si è impegnata a pescare la maggior parte dei tonni tramite la pesca a canna, e anche Mareblu ha testimoniato il proprio interesse a passare a metodi di pesca decisamente più sostenibili.
Non tutti però sono di questo avviso, dato che Maruzzella, MareAperto Star e Nostromo sembrano non recepire il messaggio e non avere alcuna intenzione di adottare pratiche di pesca più funzionali alla protezione degli animali.
La storia, però, non sembra finita qui, dato che a distanza di qualche giorno RioMare non sceglie la vita del silenzio e, dopo le polemiche sollevate da Greenpeace, risponde pubblicamente alle accuse lanciate dall’associazione per l’ambiente circa i metodi di pesca non del tutto in linea con i principi di sviluppo sostenibile.
Rio Mare ha infatti comunicato di essersi impegnato ad un utilizzare metodi di pesca sostenibile per il 45% del tonno raccolto entro il 2013, e a gennaio di quest’anno l’obiettivo si è alzato fino al 100% del tonno pescato, obiettivo da raggiungere però entro il 2017.
RioMare ha affermato di essere in prima linea nel tema della pesca sostenibile ormai da anni, come testimonia la loro adesione alla campagna dell’organizzazione no-profit ISSF, un progetto che mira alla sensibilizzazione sui temi della riduzione della pesca accidentale e la tutela del patrimonio ambientale marino.
RioMare, grazie a questa organizzazione, ha scelto di aderire ad un programma di ricerca scientifica che mira a studiare e attuare tecniche il più possibile sostenibili sulla pesca del tonno: al progetto partecipano inoltre alcune associazioni ambientaliste come il WWF, oltre ad avere il patrocinio della FAO. L’adesione a questo progetto è finalizzato alla sottoscrizione e al rispetto di una policy che detta legge proprio in tema di pesca sostenibile e che prevede, tra le altre regole, il divieto di pesca nelle aree protette, la rintracciabilità del pesce pescato e il divieto di utilizzare barche iscritte nel registro dei mezzi utilizzati per la pesca pirata.
Essendo dunque attivo in questo programma, RioMare cerca cosìdi difendersi dalle accuse e di dimostrare il suo impegno verso la sostenibilità.
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