Russia Siberiana, l’epidemia devastante che ha causato la morte di 2.500 esemplari di renne: tra le vittime anche un bambino di dodici anni
Quando si parla di epidemie o virus diffusi su larga scala, viene automatico pensare che simili avvenimenti rappresentino l’eccezione alla regola, una sorta di “falla” rispetto ad una condizione psicofisica (mondiale) di generale benessere e salubrità. In realtà, come dimostra il volume Nessi e Connessi scritto a quattro mani da Annalisa Corrado e Rossella Muroni, ecosistema, salute e cambiamenti climatici sono, per l’appunto, intrinsecamente connessi tra loro.
Nel libro in questione, le studiose accennano alla devastante epidemia di antrace che, a distanza di quasi ottant’anni, si è nuovamente abbattuta sulla Russia Siberiana e sulla popolazione ivi collocata: la comunità dei Nenet. Una vicenda risalente al 2016 e che, ad uno sguardo più approfondito, appare essere la lampante dimostrazione di quanto il cambiamento climatico, laddove non combattuto, potrebbe rapidamente tornare a far sentire le sue devastanti conseguenze in termini di salute umana.
Le temperature in costante aumento rappresentano una minaccia per gli ecosistemi tutti: dagli oceani, dove colonie di virus attaccano quotidianamente la flora e la fauna marine, ai recenti avvenimenti che, nel 2016, vedevano coinvolto il territorio della Russia Siberiana. Esattamente sette anni fa, nello specifico, una epidemia di antrace che non si vedeva dal 1941 ha portato alla morte di ben 2.500 animali (renne, per la maggior parte) e persino di un bambino di dodici anni.
Le indagini che gli studiosi hanno condotto per tentare di spiegare l’evento – e che Muroni e Corrado hanno riassunto all’interno della loro opera – sono raccapriccianti. A causa del surriscaldamento globale e di picchi di temperatura pari a 35° in estate (nella Russia Siberiana, in condizioni normali, non si dovrebbero superare i 10°), si innescò il disgelo dello strato più profondo e antico del terreno: il permafrost.
Permafrost in cui, esattamente settantacinque anni prima, erano rimasti intrappolati virus e batteri, tra cui quello responsabile dell’epidemia di antrace che aveva colpito il territorio proprio nel 1941. Ed è stato così che, a fronte del disgelo del permafrost, tali microrganismi hanno lentamente ripreso a “vivere” e a mietere una quantità esorbitante di vittime.
L’epidemia di antrace che ha devastato la Russia Siberiana – e che, di fatto, non appare poi così distante a livello temporale – deve portarci a riflettere su quanto cambiamento climatico, salute e diffusione di virus siano aspetti intrinsecamente connessi della realtà. E su quanto, in parallelo, le probabilità che un virus si trasmetta da animale a uomo non sono poi così basse come si potrebbe pensare. Una testimonianza in più, in sostanza, affinché il dibattito in materia non cessi mai di produrre soluzioni.
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