Come noto, a partire dal 1 gennaio 2011 i sacchetti biodegradabili hanno sostituito quelli maggiormente inquinanti – o almeno, queste erano le intenzioni del legislatore – nei supermercati e in tutti gli esercizi commerciali che, in precedenza, utilizzavano i sacchi non ecocompatibili per favorire il trasporto delle merci acquistate presso i propri locali. Riassumiamo quanto prevede la normativa di settore, cercando di fare chiarezza su alcuni punti.
Dal 2007 ad oggi: quattro anni sembrano troppi
L’idea di sostituire i sacchetti inquinanti con quelli biodegradabili non è proprio un’innovazione dell’ultima ora. A parlarne per prima fu infatti la finanziaria del 2007, che aveva originariamente previsto un periodo di sperimentazione di tre anni, dall’esito deludente. Successivamente, venne stabilito il termine del 1 gennaio 2010 per l’adozione dei sacchi biodegradabili, poi prorogato definitivamente al 1 gennaio 2011 (con il d.l. “milleproroghe” n. 78/2009).
Biodegradabile: cosa vuol dire?
Ma cosa vuol dire “sacchetto biodegradabile“? Effettivamente, sulla definizione di biodegradabilità c’è parecchia confusione. Faremo tuttavia riferimento alla normativa europea UNI EN 13432, secondo cui per biodegradabilità deve intendersi la conversione del materiale compostabile in anidride carbonica, con verifica mediante il metodo di prova standard EN 14046, e con livello di accettazione pari al 90% da conseguire in meno di sei mesi.
Adozione di sacchetti biodegradabili: a che punto siamo?
Secondo alcune associazioni di consumatori, e alcune organizzazioni ambientaliste, l’obbligatoria adozione dei sacchetti di plastica biodegradabile in sostituzione di quelli maggiormente inquinanti non è stata rispettata in tutta la Penisola. Il fenomeno riguarderebbe soprattutto i negozi di più piccole dimensioni, mentre – grazie anche a controlli più puntuali – le grandi catene di supermercati sembrano aver effettuato tale switch in maniera più adeguata.
E’ veramente così? Avete riscontrato delle infrazioni in merito?
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