Possibile che sul fondo dell’oceano gli scienziati abbiano trovato delle piccole sfere aliene? L’ipotesi è davvero “spaziale”!
Ogni anno sulla Terra cadono all’incirca 17mila meteoriti, come riportato da uno studio effettuato nel 2020 e pubblicato sulla rivista scientifica GeoScienceWorld. A contatto con l’atmosfera, questi detriti spaziali prendono fuoco e si frantumano, spargendosi sulla superficie del pianeta. Ve ne sono così tanti che gli scienziati puntano al cosiddetto deep sea mining: vale a dire l’estrazione di minerali proprio dai meteoriti presenti sui fondali oceanici.
Nonostante questa pratica comporti enormi costi sia in termini logistici che economici, alcune applicazioni del deep sea mining si sono viste già a partire dal 2017. In seguito i detriti spaziali finiti sul fondo oceanico hanno interessato gli scienziati soprattutto da un punto di vista accademico. Prendiamo ad esempio il recente studio capitanato dall’astrofisico Avi Loeb, interessato ai detriti dispersi dal meteorite IM1, schiantatosi sulla Terra nel 2014. Lo scienziato è divenuto famoso grazie al suo interesse per la tecnologia aliena ed è considerato un “sognatore” nel settore scientifico.
I residui dell’IM1, dalla forma di piccole sfere, sono stati recuperati nei pressi di Papua Nuova Guinea, dopo una meticolosa perlustrazione di oltre 160 chilometri di fondale. Ma l’elemento che stupisce maggiormente è la loro composizione, che secondo Loeb potrebbe essere indice di una provenienza extra-Sistema Solare del meteorite.
Le sfere sono infatti ricche di berillio, lantanio e uranio, una combinazione lontana da quelle che siamo stati abituati a vedere nei detriti provenienti dal Sistema Solare. Eppure, al fianco di sognatori come il professor Loeb, vi sono anche scienziati che spiegherebbero il fenomeno in maniera molto meno “romantica”: il cocktail chimico sarebbe frutto del processo di evaporazione durante l’ingresso del meteorite nell’atmosfera terrestre.
Le analisi sulle sfere aliene non si fermano qui, anzi stanno proseguendo a opera di un team di esperti delle università di Harvard e della California, della Bruker Corporation e dell’Università di Tecnologia di Papua Nuova Guinea. E se anche se non dovessero risultare sfere aliene, l’ipotesi è frutto di una tendenza che ricopre un ruolo fondamentale nell’ambito della ricerca: quella a immaginare soluzioni imprevedibili, le stesse che innumerevoli volte hanno portato a scoperte strabilianti.
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