Sfruttamento dei lavoratori, inquinamento ambientale e capi tossici sono solo alcuni dei motivi per cui Shein è ancora sotto l’occhio del ciclone: tutto ciò che c’è da sapere sull’app di moda.
Il brand cinese di moda più famoso del web è finito nuovamente nel mirino delle polemiche. Nato nel 2008 da un’idea di Chris Xu come rivenditore di terzi online, Shein è diventato molto popolare intorno al 2020 quando il nome dell’app ha cominciato a rimbalzare sui social. Shein è tendenzialmente considerato uno dei brand del fast fashion più gettonati nella cerchia della generazione Z, ossia dei nati dopo gli anni 2000. Sono sempre di più, infatti, gli adolescenti che acquistano i capi di abbigliamento in modo veloce ma soprattutto economico.
Uno dei punti di forza di Shein sono proprio i prezzi bassi. Così come i tessuti che non prestano molta attenzione alle fibre utilizzate, per la maggior parte non a norma. In un’epoca in cui è fondamentale sensibilizzare soprattutto i più giovani a mirare i loro comportamenti verso un’ottica sostenibile e nel rispetto dell’ambiente, Shein non si dimostra l’esempio più indicativo. Non soltanto per i prodotti che vende sul mercato, ma per tutta la filiera di produzione e riciclo che sembra sempre più viziata da ombre. Vediamo nel dettaglio tutti i punti poco chiari su questo brand.
Se la generazione Z è stata irretita dalla facciata dei prezzi bassi dei capi di abbigliamento, è anche vero che Shein propone molti altri prodotti che vanno dal settore casalingo agli accessori e calzature. Ciò ha fatto sì che l’app richiamasse l’attenzione anche delle generazioni più adulte, ampliando così la fama di Shein. In particolar modo lo scorso anno Shein è stato travolto dalla bufera riguardante l’impatto ambientale ed economico ai danni dei diritti dei lavoratori e del pianeta. Con il crescere della sua notorietà anche il volume dei vestiti è aumentato, con la conseguente velocizzazione della filiera produttiva.
Lavoratori sfruttati, manodopera a costi irrisori, orari di lavoro intensi, rifiuti tessili sempre più consistenti hanno gettato luce su tutti i lati oscuri del marchio. In particolar modo una ricerca del novembre 2023 lanciata dalla ong ambientalista Greenpeace Germania ha messo in risalto come questa grande quantità di capi di abbigliamento finisse nelle discariche dei paesi più poveri, come per esempio l’Africa sud-orientale. Ci siamo già occupati del riciclo nell’industria tessile quando abbiamo parlato del noto marchio H&M, i cui vestiti adibiti al riutilizzo finivano dritti nelle discariche di Paesi in cui lo smaltimento dei rifiuti diventa a dir poco insostenibile. Ancor di più, quando le fibre tessili non sono adatte al riciclo e vengono così gettate in pasto al grande mucchio di scarichi che riempiono il nostro pianeta.
Shein in questo, però, sembra avere il primato. In questo senso, infatti, può essere identificato come modello più negativo possibile di fast fashion sull’aspetto socio-economico e ambientale. Se i lavoratori vengono costretti a orari forzati per riuscire a mantenere lo standard di ordini richiesti dai consumatori, il trasporto delle merci in tutto il mondo costituisce un altro notevole elemento a sfavore di Shein. Anche il settore della logistica è infatti coinvolto e così la sostenibilità nella moda diventa soltanto un miraggio. Ma cosa si è scoperto stavolta per far finire di nuovo Shein nell’occhio del ciclone?
Il rapporto del Greenpeace tedesco del 2022 a cui abbiamo fatto cenno, tra i tanti punti oscuri di Shein, ha svelato anche la composizione del tessuti messi in commercio dal brand. Organici volatili, alchilfenoli etossilati, ftalati, PFAS e metalli pesanti sono alcune delle sostanze chimiche tossiche rilevate nei vestiti di Shein, presenti per oltre il 15 % della soglia limite consentita dal regolamento europeo Reach, che disciplina le norme in tutela della salute umana e dell’ambiente in riferimento a sostanze chimiche e pericolose. Questi dati vengono seguiti a ruota da un’indagine effettuata dalla CBC Marketplace su alcuni prodotti di Shein, in cui sono state rilevate anche presenze di piombo. Stessa cosa registrata anche da un rapporto di Bloomberg, che ha messo in evidenza come la merce venduta da Shein contenga una percentuale di microplastiche per il 95 %.
Se si pensa che queste sostanze possono penetrare nella nostra pelle quando le indossiamo, soprattutto per un tempo prolungato, i danni e i rischi per la salute e per l’ambiente sono incalcolabili. Un recente report del Wwf in collaborazione con il National Geographic ha spiegato come la moda e la sua produzione abbiano un impatto sulla natura e sull’ambiente molto più forte di quanto si possa immaginare. Tenendo presente che sono necessari 2.700 litri di acqua complessivi, in tutte le sue fasi di realizzazione, per fare una maglia di cotone, tutto il processo prevede anche fertilizzanti e agenti chimici che vanno così ad inquinare l’acqua e l’ambiente. Così come tutte le componenti chimiche utilizzate, come coloranti a basso costo, possono rappresentare un pericolo per la salute. Molte di queste, come i coloranti azoici, sono vietate dalle leggi europee. La Cina, però, è esente da tale regolamento e pertanto tutta la filiera di produzione aggira certi meccanismi volti al benessere degli ecosistemi facendo più danni che mai.
Il motivo principale, però, che stavolta vede Shein nel mirino di ambientalisti e non è soprattutto in riferimento alle enormi quantità di emissioni di anidride carbonica e gas serra. Se tutti questi tessuti tossici vengono scaricati nei rifiuti o incendiati, queste tossine vengono rilasciate creando un inquinamento che difficilmente può essere reversibile. Secondo la Ellen MacArthur Foundation, infatti, ogni anno ci sono 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili e la percentuale che viene davvero destinata al riciclo è del tutto irrisoria. Per questo motivo il settore del fast fashion, soprattutto se si tratta di brand e marchi che agiscono come Shein, può essere conveniente per i consumatori a livello economico e pratico: veloce e immediato.
Ma quando facciamo un click su Shein o non applichiamo la regola del riciclo, del second hand o di tutte quelle pratiche volte alla sostenibilità non possiamo immaginare che dietro ci sia un intero mondo che nuoce gravemente sia noi che il pianeta. Soltanto lo scorso anno l’app di Shein ha raggiunto oltre 27 milioni di utenti: se si fa un calcolo rapido di tutti i tessuti prodotti, i rifiuti, la catena di produzione e di logistica, oltre che la tempestività e la velocità del ricambio tra vendita e acquisto, i danni sono ben visibili.
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