Quasi 3mila persone sono morte e un numero difficilmente quantificabile di malati è stato causato dalla sindrome di Minamata in Giappone.
I disastri ambientali accaduti a oltre mezzo secolo di distanza, in molti casi hanno portato conseguenze anche nelle generazioni successive. Alcune sostanze tossiche, quali ad esempio il mercurio, sono in grado di contaminare anche i feti, per cui la malattia viene trasmessa anche ai figli. Il mercurio è una sostanza molto utilizzata in passato, che ha inquinato i mari, i pesci e le falde acquifere.
Con delle ricadute negative sulla salute umana, specialmente nelle popolazioni che si cibano copiosamente di pesce, come il Giappone. Ed è proprio da una città nipponica, Minamata, che è stata coniata la sindrome in questione. Dovuta all’intossicazione acuta da mercurio. In questo caso ci troviamo di fronte ad un fatto di epocale importanza le cui responsabilità sono ben accertate. Il caso degli anni Cinquanta fu talmente eclatante che ne fu fatto un film nel 2020, dal titolo “Il caso Minamata“.
Ci troviamo nel Giappone degli anni Cinquanta. Come anche in altri Paesi, il Giappone aveva diverse aziende chimiche, i cui scarti venivano rilasciati in mare tramite le acque reflue. L’azienda Chisso Corporation, attiva dal 1932 al 1968, è stata responsabile di sversamento continuo di mercurio e di acetaldeide. Il mercurio rilasciato in acqua, si unisce ai batteri presenti nel mare e si trasforma in metilmercurio, sostanza tossica e gravemente dannosa. Per oltre trent’anni i pesci sono stati inquinati, in particolare nell’isola di Kyushu, dove è presente la località di Minamata.
All’epoca la pericolosità del mercurio non veniva presa sufficientemente in considerazione. Le prime tracce della sindrome da avvelenamento, che dai pesci passava all’uomo ed agli animali, è stata notata sui gatti, che iniziarono ad avere comportamenti anomali. Giravano su se stessi fino allo stremo delle forze ed a morire di stenti. A seguito casi notati su cani, ed anche sugli uccelli che morivano rapidamente.
Ed allora si iniziò a pensare al rischio per l’essere umano. Ci furono delle correlazioni tra le numerose persone che a partire dal 1956 sono state ricoverate in ospedale con sintomi simili, tanto da far pensare inizialmente ad un’epidemia.
Perdita di coordinazione, difficoltà espressiva nel linguaggio, problemi all’udito, fino ad arrivare a coma e morte. Oltre 2.700 i decessi accertati, più un numero ampissimo di persone malate con ferite paralizzanti. Anche l’incidenza di malattie sui bambini nati in quel periodo era altissima. Ed allora le ricerche portarono al comun denominatore: l’intossicazione da mercurio.
Il mercurio veniva utilizzato copiosamente nelle industrie chimiche, anche per oggetti di uso quotidiano quali il termometro. L’azienda fu inquisita per le sue responsabilità, ed il Giappone spese il corrispettivo di centinaia di milioni di euro per il risarcimento alle vittime e per la bonifica delle acque. La vicenda epocale iniziò a sensibilizzare i Governi e l’opinione pubblica sui danni derivati dall’utilizzo del mercurio in campo industriale. Fino al 2013, quando le Nazioni Unite fecero sottoscrivere a tutti i paesi membri un impegno a ridurre ed annullare l’utilizzo del mercurio nel settore chimico e produttivo.
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