Per mettere un freno all’imperante moda fast fashion arriva una sfida, lunga 90 giorni, spopolata dai social. Ecco di cosa si tratta: scopriamo come funziona.
Collezioni nuove sfornate a ritmi serrati, realizzate con materiali di scarsa qualità, da lavoratori costretti a condizioni inique, tra orari sfiancanti e salari all’osso. Questo è il quadro in cui si colloca il fast fashion, un fenomeno ormai imperante nella società che domina le grandi catene dell’abbigliamento. Catene che tutti noi conosciamo e in cui spesso facciamo probabilmente shopping, entusiasti del fatto che tra appendini e scaffali troviamo capi a prezzi stracciati.
Ma questo prezzo così ridotto, in realtà, cela un altro prezzo che pagano i lavoratori sfruttati e la natura impattata dalle produzioni insostenibili del tessile.
Il comparto dell’abbigliamento è il secondo più inquinante a livello globale: con i suoi effetti lede persone e ambiente e per questo negli ultimi anni si è affermato il filone della moda sostenibile (per scoprirne di più leggi qui) che mira a diffondere maggiore consapevolezza sia tra chi consuma, sia tra chi produce, muovendo i passi verso abiti positivi capaci di armonizzarsi con il Pianeta.
Per diffondere una moda più responsabile è spopolata dai social una nuova sfida il cui obiettivo è mettere ko il fast fashion. Prima di vedere da vicino come funziona, approfondiamo maggiori dettagli della moda veloce.
Scarsa qualità e prezzi straccati. Questi sono i pilastri del fast fashion, modello produttivo imperante nel comparto tessile. Un fenomeno affermatosi nel Novecento a seguito del predominio della moda in serie, diffusasi con la creazione dei primi magazzini intorno alla metà dell’Ottocento.
I primi esempi di marchi di fast fashion come oggi li conosciamo risalgono agli anni ’40: in particolare significativa è la nascita di H&M, catena dell’abbigliamento low cost, inaugurata nel 1947, basata sulla vendita di abbigliamento a basso costo. Altra tappa cardine della moda veloce è il 1972, anno in cui Zara apre i battenti: questo brand è l’emblema della produzione fast, visto che ogni due settimane sforna nuove linee.
Il termine fast fashion viene usato per la prima volta sul New York Times nel dicembre 1987 per descrivere l’apertura di un nuovo punto vendita di Zara nella Grande Mela.
Con gli anni Duemila questo fenomeno diventa il modello produttivo principale dell’abbigliamento, portando a gravi danni per l’ambiente, considerando che la mole delle emissioni prodotte dalla moda è immensa, e i lavoratori sfruttati sono tantissimi, in particolare nelle fabbriche delocalizzate nei paesi terzi.
Caso passato alla storia è il crollo del Rana Plaza, in Bangladesh, edificio in cui avevano sede delle fabbriche di abbigliamento di marchio fashion occidentali, in cui ci sono state molte vittime e innumerevoli feriti.
Nonostante tutto negli ultimi anni il predominio della moda veloce è irrefrenabile, come dimostra il successo del marchio Shein, sito cinese che propone abiti a prezzi bassissimi.
Per invertire la rotta di questi scenari allarmanti, a partire dagli inizi del Novecento si è affermata la moda sostenibile il cui obiettivo è rendere le produzioni rispettose di lavoratori e natura. In questo senso sono nati nuovi marchio dalla vocazione green (ecco qui le collezioni eco da non perdersi in questi mesi) nonché movimenti di sensibilizzazione. Tra le tante iniziative in atto, emerge una sfida a tema moda sostenibile, lanciata tramite i social network. Scopriamo di cosa si tratta.
Per mettere un freno al dilagante ultra fast fashion, sui social è stata lanciata dalle Nazioni Unite, insieme all’ONG Remake, una sfida sotto l’hastag #NoNewClothes. Ogni anno, il 1 giugno, viene riproposta questa iniziativa che ci sfida a non comprare nulla per 90 giorni, in modo da contrastare la macchina della moda veloce.
Se vuoi aderire a questa sfida per contrastare il fast fashion non ti resta che aderire a #NoNewClothes compilando sul sito di Remake il modulo di petizione creato per la campagna.
Poi dovrai astenerti a comprare fino al prossimo 1 settembre, facendo shopping solo nel tuo armadio.
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