Spreco alimentare, quali sono le strategie con cui l’Italia affronta uno dei problemi più gravi della società di oggi: approfondiamole insieme.
Miliardi di persone popolano il mondo. Alcune con disponibilità economiche che permetterebbero loro di organizzare pasti sontuosi e abbondanti ogni singolo giorno. Altre, specie coloro che vivono nelle aree sottosviluppate del pianeta, che un pasto non ce l’hanno neanche se avessero l’opportunità di pagarlo.
In un mondo che presenta squilibri così vistosi e profondamente radicati, vale la pena di chiedersi quali sono le politiche che gli Stati mettono in atto in materia di cibo. Vale a dire: esiste un qualche controllo rispetto agli avanzi che famiglie, ma anche attività commerciali ed esercizi pubblici, producono quotidianamente? Magari una qualche possibilità che i suddetti non vengano buttati, ma finiscano in un circuito sostenibile che consenta loro di venire riutilizzati?
Nel paragrafo che seguirà ci occuperemo di analizzare le direttive che l’Italia ha messo in campo per contrastare il problema dello spreco alimentare. Considerato che, ogni anno e solo nell’Unione Europea, vengono sprecate circa 88 milioni di tonnellate di cibo. Il costo? Ben 143 miliardi di euro.
Una delle prime leggi, in Italia, che ha affrontato di petto il problema dello spreco alimentare è stata la legge Gadda (2016), che prendere il nome dell’onorevole che l’ha promossa, Maria Chiara Gadda. Una normativa che non è altro che il frutto di un lavoro in sinergia, svolto da tutti i soggetti coinvolti nel recupero e nella ridistribuzione delle eccedenze.
Cosa stabilisce, più nello specifico, la legge varata nel 2016? Che le aziende che donano alimenti, anziché gettarli nell’umido, possono aver accesso a incentivi fiscali, oltre ad una semplificazione delle procedure burocratiche per la donazione del cibo. Così facendo, le aziende non solo sono intenzionate a partecipare, ma alimentano anche quel circolo virtuoso che consente di recuperare tutto ciò che è recuperabile.
Altro punto di forza tutto italiano è il rafforzamento della cosiddetta “doggy bag”. Una pratica incoraggiata da bar e ristoranti stessi, i quali, di fronte agli avanzi di cibo, propongono ai clienti di incartarli e portarli a casa, così da poterli consumare il giorno seguente. La legge, a tal riguardo, ha potenziato le campagne di sensibilizzazione sulla materia, così da incentivare al recupero alimentare e da promuovere un approccio più sostenibile ed accorto quando si tratta di cibo.
Gli avanzi, si sa, possono essere recuperati persino in casa, con idee di riciclo alimentare (qui per scoprirne alcune) che riuscirebbero ad assicurare una nuova vita praticamente a qualunque cibo. Quando le normative statali ci mettono del loro, però, gli scenari ci consentono di essere di gran lunga più ottimisti.
Quando agli altri Stati dell’Ue, in Francia lo spreco alimentare viene combattuto attraverso la legge Garot, approvata, anch’essa, nel 2016. Mentre la Penisola ha preferito optare per una politica di incentivi, in Francia sono sanzioni e multe quelle che attendono tutti coloro che non si impegnano nel reimmettere gli alimenti avanzati in un circolo virtuoso.
Per i supermercati con superficie superiore ai 400 metri quadrati, ad esempio, è fatto obbligo di donare gli avanzi ad associazioni di beneficenza. In più, la Francia ha imposto una specifica gerarchia di azioni atte ad evitare gli sprechi, tra cui prevenzione, recupero dell’invenduto, utilizzo per l’alimentazione animale, infine l’impiego degli scarti a fini energetici.
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