Uno dei misteri italiani irrisolti che ad oltre 40 anni di distanza continuano a pesare sulla coscienza collettiva italiana. Cosa è successo realmente sull’aereo?
Le tesi sono state tante. Ed altrettante le teorie cospirazioniste che hanno ricevuto consenso di pubblico, ma mai realmente accreditate dai fatti. Come spesso accade con le tragedie, si deve cercare in tutti i modi di dare una spiegazione, per poter elaborare il lutto. Purtroppo non sempre è possibile. E fino ad ora si sono fatte ricostruzioni quanto più possibili concrete, ma che non si possono definire “verità”. In questo articolo si tenterà sinteticamente di riportare ciò che è emerso dalle prove presentate durante il processo civile, che si è concluso il 10 settembre 2011 con un risarcimento per i familiari delle vittime della strage di Ustica di 100 milioni di euro.
Non a caso si parla di strage. La parola strage per essere usata, non richiede solo che le vittime siano più di una. Infatti gli altri disastri aerei vengono chiamati incidenti. La strage è per definizione quando ci sono più decessi e c’è un intenzione di uccidere. A legittimare questo appellativo giornalistico, nel 1989 la Commissione stragi italiana deliberò di inserire anche il capitolo Ustica nei fascicoli di propria competenza.
La ricostruzione dell’accaduto
Non sono ancora chiare le dinamiche che hanno portato al decesso di tutti gli 81 occupanti del DC-9 di proprietà della Itavia. La caduta in mare dell’aereo non è stata causata da un incidente. Né errore umano, né avarie tecniche. Il volo IH870 in partenza dall’aeroporto di Bologna con destinazione Palermo è decollato con 113 minuti di ritardo, a causa di altri ritardi accumulati dall’aereo. Alle 20:08 le ruote dell’aereo si staccano da terra. Alle 21:04, meno di un’ora dopo, il volo viene chiamato da un operatore di Roma per confermare l’autorizzazione ad atterrare a Palermo. Nessuna risposta. Seconda comunicazione reiterata invano. A questo punto l’operatore inizia a capire che qualcosa non va e fa chiamare l’aereo da due voli dell’Air Malta che si trovano sulla stessa tratta. Ancora una volta niente. Da varie parti, che seguono l’ipotetica localizzazione dell’aereo, si cerca di stabilire un contatto. Invano. A questo punto partono le operazioni di soccorso che durano fino alla notte inoltrata, quando nel Mar Tirreno, in un’area tra l’isola di Ustica e l’isola di Ponza dove l’acqua è alta oltre 3mila metri, iniziano ad affiorare chiazze di carburante e relitti. L’acqua restituisce anche i primi cadaveri. È ufficiale. L’aereo è affondato in mare aperto.
Le indagini successive
Il Giudice che si occupò del caso chiese immediatamente l’autopsia sui primi sette cadaveri recuperati. Da cui emerse che la causa del decesso era stata depressurizzazione ed esplosione dei polmoni. Fenomeni che si verificano quando un aereo ancora in aria viene scoperchiato. E questo avvalora la tesi che l’aereo non sia precipitato in mare integro. Ci sono state molte teorie. Per un lungo periodo si era pensato anche ad un ordigno all’interno della cabina, ipotesi scartata senza avere dubbi. Anche l’errore umano o l’avaria tecnica furono scartati. Le registrazioni della scatola nera furono difficili da decodificare. Nel 2020 è stata chiaramente ricostruita l’ultima frase prima che l’aereo perdesse i contatti. “Guarda, cosè?”: le ultime parole di uno dei due piloti. Ad aggiungere mistero al mistero, molti documenti ancora secretati. Fanno parte dei segreti di Stato. Lo stesso Francesco Cossiga, all’epoca presidente del Consiglio, ad anni di distanza fece delle ammissioni sulla strage di Ustica. Dichiarò che Giuliano Amato, all’epoca sottosegretario, gli disse che erano stati i francesi ad abbattere l’aereo civile. Quello che è più probabile ed accreditato dalla conclusione risarcitoria del processo civile – quello penale deve essere ancora messo in piedi – è che aerei militari stranieri, probabilmente francesi e statunitensi, nel tentativo di abbattere un velivolo libico abbiano intercettato il DC-9 dell’Itavia. A chilometri di distanza è stato trovato il relitto di un DC-3 libico. La storia è ancora aperta, ed i documenti ancora secretati. Ma in fondo cos’è rendere giustizia alle vittime? Punire i colpevoli o fare in modo che un evento del genere non si replichi più?