Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Geophysical research letters” ha confermato un evento che potrebbe prevedere i terremoti
Uno dei fattori che rende così devastanti i terremoti è la loro imprevedibilità, specialmente il momento esatto in cui si manifestano. Nonostante sismografi di tutto il mondo monitorino 24h le sale sismiche, l’attimo distruttivo accade spesso senza preavviso né possibilità di mettere in atto strategie protettive ed evacuazione della popolazione. Dunque numerosi team di geologi hanno spesso cercato delle correlazioni con altri fenomeni naturali che possano prevedere i sismi nelle loro manifestazioni. E forse questa volta hanno trovato dei dati interessanti.
I collegamenti sono dei tentativi, non delle certezze, che prò se reiterati frequentemente potrebbero fornire uno strumento utile per mettere in atto delle strategie protettive per le popolazioni vicine alle aree sismiche. E lo studio pubblicato sulla rivista scientifica “Geophysical research letters” può essere un buon punto di partenza per la faglia dell’Armutlu, una diramazione della ben più grande ed importante faglia dell’Anatolia settentrionale.
La correlazione è presto detta, ma confermarla non è stato così semplice, ha richiesto numerose osservazioni e valutazioni di dati. A quanto pare lo studio pubblicato sulla rivista geologica vuole trovare un legame tra l’innalzamento del livello del mare nella sponda meridionale del Mar di Marmara ed i sismi. A quanto pare, gli stress, anche se piccoli, associati all’innalzamento ed abbassamento del livello del mare, potrebbero dare il via a terremoti di magnitudo 4,5 della scala Richter o superiori. Ed a quanto pare anche piccole oscillazioni delle maree sono riuscite a generare delle scosse non indifferenti.
Essa è una faglia molto profonda e lunga. Tuttavia trovandosi sulla terraferma è piuttosto facile da controllare. Nonostante ciò il sisma del 1766 è stato davvero devastante, con migliaia di vittime e distruzione che è arrivata dalla terra e dal mare. Due scosse. La prima, distruttiva, di oltre due minuti. E la seconda, anche se meno intensa, è durata oltre quattro minuti. Le recenti scoperte potrebbero aiutare ad evitare che simili conseguenze si verifichino ancora.
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