Ue, addio alle etichette generiche come “naturale” o “ecologico”

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Greenwashing etichette (Foto da Pixabay – Canva) – ecoo.it

Finalmente la Commissione europea ha deciso di normare le etichette green per dare uno stop al fenomeno del greenwashing.

Negli ultimi anni è capitato a tutti di imbattersi al supermercato in prodotti già consuetudinariamente acquistati, ma con una differenza. L’etichetta green. Dalla classica immagine che dà senso di sicurezza ed affidabilità, spuntano nomi come naturale, ecologico, biodegradabile, etc. Sono termini che indicano uno specifico indirizzo delle politiche produttive.

A causa anche della martellante propaganda green, che si muove dal basso verso l’alto, ma anche dall’alto verso il basso, molte aziende hanno pensato bene che, in assenza di una specifica normativa, aggiungere la parola bio, naturale o ecologico alle etichette, costasse poco o niente.

E chi lo poteva impedire senza regolamentazione sul tema? Da questo nasce il fenomeno noto come greenwashing, ovvero spacciare per green un prodotto che non lo è, oppure semplicemente sfruttare il trend ecologico esclusivamente per profitto, senza che tutta la filiera o la mission aziendale siano adeguati. Ed allora possiamo facilmente trovare merendine con farina bio, ma la cui filiera produttiva emette tonnellate di C02. Davvero poco green.

Greenwashing ed etichette, le nuove regole europee

E finalmente la commissione europea ha deciso di dare uno stop. Queste etichette fuorvianti sono un vero e proprio tradimento nei confronti del patto implicito – ed esplicito, esiste un codice del consumo – che si instaura tra consumatore e produttore. Che alla base deve essere di fiducia. Dunque tutto ciò che viene inserito in etichetta deve corrispondere a verità e deve essere controllato a dovere. La direttiva in questione impone il veto di utilizzare termini come ‘biodegradabile’, ‘ecologico’, ‘climaticamente neutro’, ‘naturale’, ‘eco’, a meno che non si possa produrre idonea certificazione corrispondente.

La direttiva è stata messa a punto anche grazie ad una ricerca della Commissione europea stessa, da cui è emerso che il 53,3% delle affermazioni sui prodotti ambientali siano vaghe e fuorvianti. Il 40% delle etichette green non sono in alcun modo dimostrate. Per non sottovalutare il problema del marketing, di cui anche le etichette fanno parte.

Da più parti sono emersi spot green senza alcuna corrispondenza con la reale filiera del prodotto. Cavalcando l’onda, si dà una mano di vernice verde ovunque capiti, tradendo in questo modo la fiducia che i consumatori hanno riposto nell’azienda. E soprattutto delegittimando la valenza delle informazioni in etichetta.

L’obsolescenza programmata

Oltre al greenwashing in etichetta, la direttiva europea si è anche occupata della questione dell’obsolescenza programmata, assolutamente in antitesi con la direzione che l’Europa dovrebbe intraprendere. Si tratta di una modalità di costruzione dei materiali, specialmente elettronici, che hanno un tempo programmato di fine vita, per cui alla fine ‘conviene di più ricomprarli piuttosto che aggiustarli’. Con la conseguenza di un immane spreco di denaro e soprattutto produzione continua di scarti elettronici inquinanti. La Comunità europea si è pronunciata scoraggiando questo tipo di pratica.

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