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Morti che non fanno scalpore, una tortura senza voce, un dolore straziante che trova spazio solo nei siti di alcune associazioni internazionali come Animal Equality, che hanno fatto della lotta al maltrattamento di tutti i tipi di animali (o “individui” come li chiamano loro) una battaglia senza tregua. E’ così che si consuma ogni giorno la fine di una specie silenziosa, che non rientra nell’empatia al primo sguardo: i pesci. Non sono teneri e morbidi come un coniglietto o un piccolo beagle e “suscitano meno empatia perché sono animali muti, ma questo non vuol dire che non possano provare dolore” come ci racconta Fabrizia Angelini, una delle portavoci italiane di Animal Equality, che ci ha rilasciato un’intervista, dove cerchiamo di fare chiarezza su questo triste fenomeno e in particolare sulla mattanza di tonni a Carloforte, oggetto di un loro dossier.
Perché ci scandalizziamo, giustamente, per i maltrattamenti perpetrati ai danni dei beagle di Green Hill e poi passa sotto silenzio una mattanza, come quella di Carloforte, che in una sola volta uccide 5/6 mila esemplari? “Non fanno parte della nostra quotidianità, non sono come i cani o i gatti, che li viviamo tutti giorni nelle nostre case, sono relegati lontani dalle città, dai nostri contesti, per questo è più difficile stabilire un’empatia” spiega Fabrizia Angelini di Animal Equality, che cerca di dare una risposta a qualcosa come la mattanza che è difficile definire “una tradizione”. La “manifestazione” a Carloforte in Sardegna avviene solitamente tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, più precisamente nelle località di Porto Scuso e Porto Paglia, dove migliaia di tonni rossi, che stanno migrando per riprodursi, vengono uccisi in una tonnara, uno speciale sistema di reti, dove la velocissima risalita provoca molte morti per asfissia, che s’aggiungono a quelle per dissanguamento, provocate dalle incisioni sul cuore che vengono inferte per rendere la carne più tenera. Non bisogna dimenticare poi che un esemplare adulto può arrivare a pesare fino a 200 chili e il gancio con il quale vengono tirati provoca un dolore enorme causato dal loro stesso peso.
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Una sofferenza che purtroppo è prolungata, visto che molti non muoiono subito, ma che comunque si conclude con una fine già segnata per tutti gli esemplari imprigionati. “I pochi che si salvano non fanno una fine migliore. Vengono messi all’ingrasso, visto che adesso vengono presi tonni sempre più piccoli, e fatti ingrassare su queste tonnare in viaggio verso Malta” continua a raccontarci Fabrizia Angelini. La mattanza quindi da qui diventa “industriale”, come in qualsiasi allevamento intensivo: i tonni vengono messi all’ingrasso, con “alimentazioni che possono non essere adeguate alla specie” continua Fabrizia “per poter ricavare il massimo da ogni animale”. Per dovere di cronaca, sono 2 anni circa che non si hanno notizie di una replica della mattanza di Carloforte, anche se non si può purtroppo considerare una vittoria etica: “L’interesse economico è quello che ha mosso l’interruzione della manifestazione. E’ molto più conveniente allevarli direttamente, per venderli poi sul mercato giapponese, dove possono sfiorare anche i 6 mila euro al chilo” spiega una delle portavoci di Animal Equality.
Non solo i tonni, ma ogni tipo di pesce in realtà prova dolore esattamente come ogni altro tipo d’animale sottoposto a torture strazianti. Non sono conclusioni affrettate ma i risultati di studi scientifici a livello internazionale, come quello di Huntingford, ripreso da Animal Welfare che riporta: “Studi moderni hanno evidenziato come i pesci teleostei posseggano recettori del dolore simili a quelli dei vertebrati superiori. La ricerca ha anche mostrato che la neurofisiologia e il comportamento dei pesci sono alterati in presenza di stimoli dannosi” e aggiunge “crediamo comunque che le prove a nostra disposizione indichino che i pesci possiedono la capacità di provare paura e sofferenza. Di conseguenza ci sembra opportuno riflettere sull’implicazione che queste sensazioni negative hanno sugli animali, ed esaminare pertanto quali misure devono essere adottate per garantire il benessere dei pesci che sfruttiamo”. Altre successive pubblicazioni sembrano riprendere questi studi e rendono ancora più terribile il trattamento senza stordimento che viene riservato ad esempio al pesce gatto negli Stati Uniti, spellato vivo, come denunciato da Mercy for Animals.
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Le attuali normative prevedono un limite di esemplari da uccidere. Ad esempio per quanto riguarda il tonno rosso il limite è quello stabilito per evitarne l’estinzione, ma non viene fatto riferimento al trattamento che questi subiscono, dando cioè solo come possibile ma non obbligatorio lo stordimento. Nel 2009 è stata fatta una richiesta da parte della Commissione europea all’Efsa (l’organo per la sicurezza alimentare) per stabilire un parere scientifico sugli aspetti di benessere specie-specifico dei principali sistemi di stordimento e uccisione del tonno allevato nell’Unione Europea, che ha portato anche a una valutazione sui pericoli legati ai batteri dovuti ad alcune tecniche aggressive, ma che si sono conclusi, come si legge nel documento, con una “necessità d’ulteriori ricerche”.
Nonostante le numerose lettere inviate alle amministrazioni locali, alla Regione Sardegna, e nonostante le dimostrazioni portate avanti da Animal Equality nel giugno del 2012 di fronte al Ministero per l’Ambiente e la tutela del territorio, le istituzioni sembrano aver dimenticato questo problema. Lo scopo di queste associazioni rimane comunque il voler dar voce a tutti gli animali, prendendosi anche qualche piccola vittoria, come ci racconta Fabrizia Angelini a conclusione dell’intervista: “Anche grazie alla pubblicazione del nostro dossier sugli allevamenti di Foie Gras, i 1500 punti vendita Coop si sono impegnati, una volta terminate le scorte di magazzino, a non rinnovare più l’importazione di foie gras”. Speriamo vivamente che una notizia positiva di questo tipo venga riservata ai pesci e al loro silenzioso dolore.
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