Urano è il settimo pianeta per distanza dal Sole nel nostro sistema. Le ultime scoperte effettuate dalla sonda Voyager 2 della Nasa avrebbero scoperto che due tra i suoi satelliti rilascerebbero materiale nello spazio. Ecco di cosa si tratta.
Terzo per diametro e quarto per massa: Urano è uno dei pianeti giganti che compaiono nel nostro sistema solare. Così come per Saturno, anche questo corpo celeste presenta degli anelli planetari anche se di dimensioni minori rispetto l’altro gigante. È visibile ad occhio nudo dalla Terra in certi periodi dell’anno ma è stato sempre classificato come stella finché nel 1871, William Herschel, capì effettivamente che il pianeta seguiva la classica orbita intorno al Sole.
Urano dispone di ben 27 satelliti naturali. I nomi di essi derivano dalla letteratura inglese: più nello specifico di personaggi tratti da opere di William Shakespeare ed Alexander Pope. Oggi però facciamo un focus su Miranda ed Ariel: stando alle ultime scoperte basate sui viaggi di Voyager 2, navicella di proprietà della NASA, è stato evidenziato che i loro oceani attivi deporrebbero materiali nello spazio.
Miranda è il più piccolo ed interno satellite posseduto da Urano mentre Ariel è la più luminosa e la quarta per quanto riguarda le dimensioni. I dati riportati da Voyager 2, unica sonda al momento ad essersi avvicinata ad Urano, hanno riportato che dovrebbero essere presenti degli oceani subsuperficiali. Essi starebbero sprigionando plasma nello spazio e più precisamente presso l’orbita di Urano.
Ad oggi non ci sono conferme o spiegazioni ufficiali per quanto riguarda quest’immissione di plasma ma i ricercatori hanno formulato un’ipotesi: uno o entrambi i satelliti potrebbero nascondere un oceano allo stato liquido al di sotto della crosta ghiacciata che sta attivamente espellendo pennacchi di materiale nel cosmo. Fenomeni simili infatti sono già stati osservati intorno ai giganti gassosi di Saturno e Giove.
Queste ultime scoperte realizzate aprono il campo per la ricerca. Lo scienziato Ian Cohen dell’Hopkins Applied Physics Laboratory ha infatti affermato “Da alcuni anni sosteniamo che le misurazioni delle particelle energetiche e del campo elettromagnetico abbiano un ruolo importante non solo per capire l’ambiente spaziale, ma anche per contribuire alla più ampia indagine scientifica planetaria”.
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