Con un atterraggio d’emergenza, il volo British Airways 9 è riuscito ad evitare la catastrofe. Non ci sono state vittime. Tutti i 263 occupanti sono sopravvissuti
Ogni tanto i disastri aerei hanno un lieto fine, come quello del volo British Airways 9 del 24 giugno 1982. L’aereo era un Boeing 747 in partenza da Londra a Auckland, in Nuova Zelanda. Erano previsti degli scali intermedi a Mumbai, Madras, Kuala Lumpur, Perth e Melbourne. L’atterraggio di emergenza, che è riuscito a salvare tutti gli occupanti del volo, sia passeggeri che equipaggio, è entrato nel Guinness dei privati per la più lunga planata sostenuta da un aereo non costruito appositamente per questa operazione. Almeno fino al 2001.
Simili incidenti sono avvenuti anche in seguito. In questo caso non si è trattato né di un errore umano, né di difetti tecnici dell’aereo. È l’imprevedibilità del fattore natura ad aver fatto rischiare la vita a quasi 300 persone.
Volo British airways 9, la polvere di fumo e l’atterraggio d’emergenza
Mentre l’aereo sorvolava l’oceano indiano a sud dell’isola di Giava, poco dopo le 20:40 dell’ora di Giacarta, il comandante si trovava alla toilette. Il tecnico di volo proprio in quel momento ha visto sul parabrezza della sede di controllo delle luci di colore arancio, blu e rosso, simili ad un fuoco. Nonostante il radar indicasse che il cielo era terso e le condizioni metereologiche ottimali, l’equipaggio accese dispositivi anti ghiaccio e riportò i passeggeri ai propri posti imponendogli di allacciare le cinture. L’equipaggio non si rendeva conto di cosa stesse accadendo, ma poco dopo all’interno della cabina passeggeri iniziò ad entrare una coltre di fumo. Due minuti dopo l’avvistamento delle prime luci, il motore numero 4 si spense con una grande fiammata. A quel punto i piloti iniziano a spaventarsi e ad attivare le procedure di emergenza. Nell’arco del minuto successivo anche gli altri tre motori si spensero. Così, in continuo contatto con le autorità del controllo del traffico aereo di Giacarta, i piloti dovevano decidere cosa fare. La prima alternativa era un ammaraggio nell’Oceano Indiano, procedura molto pericolosa per un Boeing 747.
La riaccensione dei motori
A questo punto il capitano decise di parlare direttamente ai passeggeri, tramite il seguente comunicato: “Signore e signori, il vostro capitano che vi parla. Abbiamo un piccolo problema. Tutti e quattro i motori si sono fermati. Stiamo facendo quanto nelle nostre possibilità per farli funzionare nuovamente. Confido che non siate in eccessiva angoscia”. Nel frattempo la pressione dentro la cabina era scesa al di sotto del limite consentito, per cui passeggiare furono costretti a utilizzare le maschere dell’ossigeno per respirare normalmente. Dopo l’ennesimo tentativo di riavviare i motori, il motore il numero 4 iniziò a funzionare nuovamente, e subito dopo anche il numero 3. Dopo circa 30 secondi anche gli altri due motori riuscirono ad essere riavviati. Ad un certo punto il comandante si accorse che la patina nera che ricopriva la sua mano poteva essere cenere vulcanica. Dopo il benestare della torre di controllo, con tutti e quattro i motori accesi, si tentò un atterraggio all’aeroporto di Giacarta. La manovra fu molto complicata dato che la polvere vulcanica aveva sporcato quasi tutto il parabrezza. Il pilota riuscì in un’impresa quasi miracolosa. Dopo l’atterraggio, e analizzando le ceneri, si constatò che i guasti ai motori erano stati causati dalle eruzioni vulcaniche del Galunggung.